Quando il 10 dicembre del 1936 morì, i figli trovarono un appunto su cui Luigi Pirandello aveva scritto: «I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. IV. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui».
Le richieste del celebre scrittore vennero rispettate solo in parte. Le ceneri sono oggi sepolte a Girgenti, nel giardino della villa dove Pirandello nacque. Ma una parte di esse, che non stavano nel contenitore destinato all’inumazione, vennero simbolicamente disperse, in omaggio al volere del grande intellettuale siciliano.